IL PAZZO, L’ESILIATO O L’UOMO PROBO ?
In tutto il mondo l’eco del gasaghè che sta minando il sereno mondo delle Piciarle ha provocato anche un terremoto giornalistico, oltre che culturale e religioso. Queste la reazioni delle maggiori testate dell’universo mondo della carta stampata. Ney York Times: “quest’uomo (foto) sta realizzando il golpe del secolo nella simpaticissima penisoletta italica. Lo sguardo del pazzo porcellone e le pessime abitudini (non solo) sessuali caratterizzano la figura, quasi leggendaria, di quest’individuo. Pare che al mattino si pulisca il culo su lenzuola di lino e si nutra a colazione di innocenti gattini, che, fatti pelare dalla sua schiava filippina (mentre la ingroppa, naturalmente), si mangia con un uovo sodo nel culo”. Purtroppo non è dato capire dal testo se l’uovo nel culo l’hanno le povere bestie o il golpista. Segue: “ad appoggiare la “rivoluzione branzilla”, oppure il “Tersiglia, il golpe che strabiglia”, tra i nomignoli dati al fenomeno, alcuni personaggi di chiara fame, come Ettore Andenna, Cesare Cadeo e Sbirulino (ma ve ne sono moltissimi, che hanno mandato messaggi al blog della celeberrima band). Anche l’Avvenire mette in guardia: “diffidate da quel pazzo: è l’anticristo”. Mentre la Pravda pare abbia incontrato il FullG, tiranno illuminato, completamente ubriaco, in esilio tra i bar di Modena (foto), il quale avrebbe detto all’intervistatore: “compagno, che c’hai mica una paglietta e da accendere, che non c’ho più lira”. A onor del vero, anche l’editorialista della Pravda è parso un po’ perplesso sulle qualità e soprattutto sulla lucidità dell’uomo: “a metà intervista, dopo aver farneticato di draghi, scimitarre, carri armati e caldarroste, m’ha chiesto qualche numero di telefono, dicendo, ridacchiando, l’offensiva frase “figurati se un sovietico non ha almeno una sorella, una mamma o un’amica che batte in Italia…ah…ah…”…; evidentemente anche il compagno Putin, dopo queste dichiarazioni, sarà costretto a rivedere la sua politica d’amicizia nei confronti dell’ex dittatore socialista”. Il Washington Post, il Times e il Popolo Derthonino si sono invece dedicati al Mai Grasso, “lìder ufficiale” del gruppo Le Piciarle, nonché de Le Piciarle Inc., potentissima multinazionale con sede in Mombisaggio Town, presso la sede della potentissima “Miglietto&Luciano s.a.s.”. Quasi tutti i giornali citati hanno sottolineato che il Mai Grasso è stato nominato per acclamazione singola dal lìder oggi in esilio, dunque con metodo forse discutibile, ma che indubbiamente, secondo normali criteri etico-religiosi, trattasi di uomo probo, che vive nel culto del Bene e del porger l’altra guancia, e, in più, ormai gira sempre con un cartellino al collo (foto). Allora, grandissime zoccole fanz ultrabagnate squirtone scoreggione e segaiole coi piedi, dite voi: il pazzo, l’esiliato o l’uomo probo…???
174 Commenti:
crisi nella maggioranza
dopo anni di finta armonia il gruppo di maggioranza entra in una crisi forse irreversibile.
per anni si sono nascosti dietro la figura debole e meschina del sig. full g .
ora dopo una finta democrazia social-bonardesca, la figura del full g appare appannata e in declino.
appare evidente a tutti che le manovre estreme della nomina di nuovo lider never fat alone in the city of the hell , nn riusciranno a fermare l'ondata nera di terrore e ordine ormai incalzante. di questo siamo tutti terrorizzati! solo noi giornalisti , con la nostra libertà di pensiero e la nostra onestà morale possiamo denunciare al mondo intero i sopprusi del nuovo duce tersi da vicolo rosa. faccio appello alle gradi firme del giornalismo italiano e mondiale. scalfari, santoro, bottiroli, pinuccia silla, e il sempre lucido montanelli. se ci siete battete un colpo e salvate le menti degli italiani da una tirrania troppo pericolosa.
questo è il mio appello sincero a tutti voi.
un saluto a tutti i lettori
VILI SCHIFEZZE FILOISLAMICHE D'EURABIA, VISTI IN VISO I TRE CONTENDENTI DEVO AMMETTERE CHE LO SGUARDO DEL FOLLE DEL NUOVO DUCE HA UN CHE DI FASCINANTE E ELETTRIZZANTE. SONO ANCORA ABBASTANZA CALDA E POTREI DARGLIELA VOLENTIERI, COSI' DA VERIFICARE SE IL PICCOLO UOMO FOLLE E' UN UCCELLO DURO O IL SOLITO VILE FILOISLAMICO DI MERDA.
italiani...
romani...
nordici...
padani...
è il duce che vi parla !
oggi 9 ottobre 2006 dopo lunghe ed estenuanti trattative....
dopo il sacrificio di numerosi militanti, da cesare cadeo a giovanni pamparana, da valter nudo a emilio pizzoleni , dal geometra filini a nicola berti...
ANNUNCIO , al popolo fascista , e all'italia intera, la tanto sospirata e voluta sacra alleanza post fulgenzica new romantic .
ho ricevuto in data odierna alle ore 10.47 l'affiliazione all'impero di 5 nuovi stati .
polonia
ungheria
ucraina
danimarca
olanda
queste terre di pittori, di centri di ricovero x anziani e di produzioni di fiche si uniscono alla nostra madre patria mandrognoreggiana sottomettendosi senza condizioni alle nostre leggi e ai nostri costumi sessuali.
la fica nordica purificherà i nostri meticci fratelli del nord e creerà una una nuova razza forte e degna di un nuovo sacro romano impero.
a seguito della nuova formazione imperiale , nomino :
il camerata di predappio - ministro degli esteri e dei rapporti con polonia e ucraina.
il camerata di predappio - ministro delle pari opportunità tra danimarca e olanda.
il camerata di predappio - ministro alla ginecologia e alla procreazione assistita da me.
nelle prossime ore vi trasmetterò l'elenco delle aspiranti ingallate, o prestatrici di utero in affitto, che il nostro ministro dovrò visionare scrupolosamente in profondità.
un saluto romano
O Mio Duce, mi prendo la libertà di rivolgerle la parola solo e soltanto perchè la situazione è grave ed allarmante: da venerdi sera, giorno designato per l' operazione segretissima di cattura del vile contumace che Lei con sì bella presenza e maschia vigoria ha deciso di scalzare dall' immeritato scranno, da allora, Le dicevo inginocchiata, nessuna notizia più è giunta a proposito del mio Signore e Padrone, l' illuminato Gerarca di Predappio.
Sono preoccupata per il destino suo e della Reazionaria Rivoluzione, pertanto le chiedo se ella potesse autorizzarmi ad inviare un plotone di G.I.Joe, recenti firmatari alla sezione d' Emilia Polonia ed Ucraina, alla sua ricerca
Con umiltà e dedizione
A Noi
O mio Duce, mi prendo la libertà di contattarLa personalmente, stante l' improvvisa scomparsa del Nostro Amato Semper fidelis Gerarca di Predappio,al fine di metterla a conoscenza di un dispaccio nemico intercettato dal nostro Comitato per lo Spionaggio e l' Anticomunismo.
La mandataria è tale "Rosaria Pelandruro" accreditata come segretaria particolare presso il politburò di Tortona del contumace FullG, uomo meschino che noi ancora La ringraziamo di aver debellato.
Il testo, che viene trasmesso al "collettivo indipendete per la rivoluzione proletaria" con sede a leningrado, è il seguente: "cari difenzuri d' u poppuli, o' fetecchione scureggioso du fulgì acca sparito è. manco p' amminchia che isso turnasse dalla mangiari con u scurnacchiat' e predazzo". inviasse tre cani trifulaturi par irlo a ccercari"
Papà torna presto, ti prego.
Da quando venerdi te ne sei andato dal tuo eremo in Val Curone, le cose sono rapidamente precipitate...papà torna ti prego...in casa nostra adesso abita uno strano signore, tanto strano, tutto nero e con un curioso enorme e lucido birillo montato laddove tu avevi il tuo ricurvo gamberetto, che costringe la mamma tutto il giorno in camera da letto...io la sento poverina che si dispera tanto e urla e geme continuamente...tutto il giorno...e tutta la notte...e mi trascura, non mi cambia i pannolini e solo ogni tanto viene a lanciarmi un tozzo di banana ed una ciotola di cuscus...papà torna ti prego...
Mio Amato Padre, da quando venerdi ve ne siete andato per prendere all' amo il vil fellone traditore della patria, le cose hanno preso una piega strana.
Strane orde di uomini, muscolosi, unti e glabbri, hanno preso ad aggirarsi attorno a casa nostra.
Al momento io e la mamma, che stante la Vostra assenza mi sono permesso di ribattezzare Claretta, abbiamo fin qui resistito: ella è in clusura nella sua camera ove passa il dì a struggersi alla finestra aspettando il Vostro ritorno, mentre io, come mi avete insegnato, ho respinto le orde fashion con lanci di furro fuso e strutto.
Le munizioni scarseggiano, oh Padre mio, tornate presto, ve ne prego.
qui sento puzza di compromesso storico...: che il FullG e il Gerarca siano chiusi in ritiro in qualche località collinare e tortellica a trattare un seggio per l'esule, da implorare al Duce in cambio di chissàcheccosa...? si sa che il Duce, schifosissimo maschio di destra, con la fica lo si compra che è un piacere...noi a rai3 aspettiamo fiduciosi...la cosa ci appassiona (governando di merda prodi, abbiam bisogno di un nuovo nemico pubblico n.1...e sto Tersiglia qua...)
caro marito,
questa lettera per tranquillizzarti circa l'attuale situazione casalingua.
è da venerdi che ,in tua assenza, ho aperto nella cameretta che fu del tuo pc una filiale di accoglienza dei frati porcellini.
cucino nel nome della fratellanza, accudisco nel nome dell'eguaglianza e amo nel nome di dio.
la bimba è felice nel saperti esule ed eroe , felice con la tua vespa special nei colli bolognesi. nn avere fretta, qui la situazione è tranquilla . nn badare alla letterina della bimba, lo sai i bambini nn dicono mai la verità. la piccina parlava di un poveretto da me accudito e lavato. lo sai che adoro il tuo bel gamberetto mai eretto, e ti assicuro che la presenza del neretto sempre eretto nn da nessun fastidio.
la bimba ti bacia ... un amorevole abbraccio dal tuo amore
Uè banda di culani, ancora non l' avete capito che quel schienafredda lì del magrasso che non ha mangiato la mia mostarda e quell' altro saltafossi del fullg che mi ha mandato indrè la sbrislouna non vanno mica bene?
mandài a sapà!
W il tersiglia che tutte le passerine se le piglia!
Davanti alle foto segnaletiche: "eh me li ricordo si questi due, sono arrivatio verso le diciannove, uno, sguasto, barbun, con una multipla che sciocarlava e che non voleva pagare il pedaggio xchè le strade sono un bene del popolo, l' altro l' è arivà con un machinun e non si è fermato, ha sbattuto giù la sbarra del casello e ha lanciato un buono da 5000 neuri da spendere da Vuitton a Bologna per risarcimento..."
camerati
segretarie e sottosegretarie
gerarchi e sottoposti
la notizia mi sconvolge ma rende il mio spirito ancora + forte!
se tradimenti sono stati consumati la mia vendetta sarà inesorabile come il pesce del neretto sempre eretto.
nn ci saranno prigionieri. nessuno sconto
sono già state liberate le scimmie alate , che volano in quel di bologna alla ricerca delle prove del suddetto tradimento.
ho ancora fiducia nel mio secondo , ciò nonostante per il bene della nazione tutta, garantisco che chiarezza e giustizia sarà fatta !
forse sono stati da me ma non so se siete in grado di capire e ascoltare il mio Verbo, piccoli vermetti che non siete altro
Smentisco ufficialmente che sul nostro suolo comunale si sia potuto svolgere un incontro tra i due soggetti del contendere senza che l' amministrazione comunale ne fosse al corrente.
Con due facce così si sarebbero sicuramente fer5mati da me se fossero passati di qua...
sono la brugola dell'altro giorno...
avete visto il mai grasso?
ride bene chi ride ultimo
A far la barba si sta bene un giorno, a prender moglie si sta bene un mese, ad ammazzare il maiale si sta bene un anno.
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Ragazza Messicana calda come il sole, bella e dolce come la luna, piccante come il peperoncino.
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Ho bisogno di tre manovali.....dalle facce mi sembrate proprio quello che cercavo.......pelandroniiii!!!!!
Tre facce da pirla così non le avevo mai viste prima d'ora....
Che tutto sto bailamme pseudo politico- culinario non sia che un paravento innalzato dai veri traditori dello piciarlo spirito, a nascondere la loro viel e bieca manovrina?
Il primo dei tre pirloni nella foto mi sembra un mio nipote acquisito....mah...sarà lui?
La posa con il boccale è identica...
...perche sappiate, carissime e fedelissime fanzine, che quanto tutto questo polverone si sarà finalmente posato, troverete Altre Piciarle a deliziar le vostre vulve....
Quello della foto di mezzo è un mio attore..... Eccoti ritrovato...ma dove ti eri cacciato?.....Torna a fare i nostri filmini invece di stare lì a schitarrare...... Ciao stallone, le mie attrici ti aspettano sempre a gambe aperte....
Quello della foto di mezzo è un mio attore..... Eccoti ritrovato...ma dove ti eri cacciato?.....Torna a fare i nostri filmini invece di stare lì a schitarrare...... Ciao stallone, le mie attrici ti aspettano sempre a gambe aperte....
ma parla in italiou.... urgiunass ti e chi fa par ti
Siete simpaticissimi, leggo sempre il vostro blog, è troppo spassoso.....Ma perchè quello nella terza foto ha gli occhi chiusi? Si sta ispirando prima di suonare?
allarmi..la saletta prove, tempio della Piciarla, sarà presto profanata da infedeli mercenari...
No cara Sandra, secondo me si sta facendo un raspone....
ma senti un po sandra mondain dei poveri...chi credi di essere! ti apro la passera come una noce e ci sputo dentro i verdoni di una bronchite!
x finire 4 dita nel culo nn te le leva nessuno!
sucate tutti ..soprattutto sandrina
...è l'inizio della fine...
ma chi è quel bel omino con davanti tutti quei boccali di birra...lo adoro..lo voglio...sarà mio
orecchioni
Duce Massimo, nostra Guida e Luce, con la presente siamo ad informare Signoria Vostra Illustrissima del fatto che il Collegio dei Probiviri d' Emilia Polonia ed Ucraina ha deciso di sostituire ad interim l' irreperibile Illustrissimo Gerarca di Predappio con il Camerata Farinacci, Illustrissimo di cui lei non potrà non serbare memoria.
A noi
amatevi fratelli...l'odio nn porta a nulla
collegio di stuca....
come vi permettete di INFORMARMI!
SONO IO CHE DECIDO ED INFORMO VOI!!!
nn osate mai più
in ogni casp mai sostituirò il mio secondo con un collegio di suorette ninfomani!
I soldi per il fullg li ho presi da...ahhhhhhhhhhhhh!!!!
avrai preso i debiti di full g!!!
parla sporco comunista!
E' arrivata la brugola nuova per il Maigrasso
Altissimo e divinissimo Duce, riconosciuamo il nostro errore e, dopo aver destituito il Farinacci con una revolverata allo sacca scrotrale, siamo pronti a fare altrettando urlando "pasta ripiena o morte!".
cristo....
mi si sono rotte le acque !!!
Ma non lavora nessuno oggi pomeriggio?
Pelandroni.....
io so cose su mio fratello che voi nn avete idea
ma che bella prica madre teresa...
mmmm...
si è arrivata la brugola...
sono 450 euro...grazie!
nn si accettano rate
siete degli sporchi infedeli!
il crociato di piovera si abbatterà sulle vostre membra pelose e farà razzia della vostro ateismo
nn c'è nulla da dire
Pare che due di voi (ma non ho ancora cosultato il pensolino) stiano meditando di lasciare la band per trasferirsi in quel di Milano e precisamente in metropolitana, fermata Moscova, per intrapprendere la carriera di musici da strada, con un duo inedito (zampogna e tromba da culo).....
chi...?
nn lo conosco!
è un mago impostore..
il pendolino è mio e lo gestisco io.... mandategli la guardia di finanza a casa!!!
questa volta vi arrestiamo
edda ledda trangu getta
'spetta che esco dal filo spinato e mi unisco subito a voi
SNIKT!
suka troia ......suka!!
sono cicillo cacace che chi lo prova sempre gli piace
Siete una manica di culattoni!!!!!
Bravo Budda, è proprio vero....
E tutti quanti con il pisellino a gamberetto....
In primis quel brintone nella foto.....che vergogna!!!!!
Andate a pascolare le capre....orecchioni!!!!!
Per me il più carino è l'ultimo, quello che dorme, mi sembra un dolce tartarughino in letargo...
Siete tutti dei bei maialoni.....
Maialoni non lo so, però animali si, sicuramente....
Avete visto il Maigrasso???
Mi cercava....
Ragazzi sono tanto pentita del mio passato...posso diventare neofascista anche io ed emendare la le mie colpe?
Uè guagliò o rivoluzionario o fate fare purammé?
La Sezione Romagna abbisogna di un volontario per una missione suicida al circolo arci Pesca e Popolo di Igea Marina, avremmo pensato al volontario Seghesio Manicardi...
Das SudTirolen Sezion serfire folontarien fur ein secidem mision in unifersitarien psicologien in Trento.
Noi folere Seghesio Manicardi.
Hail
Vedo una sostanziale disparità di trattamento nell' operato della giustiza sportiva, il fullg ha pagato per tutti
cobolli gigli ha ragione, io e il FullG siamo capretti aspiratori del sistema malato, anzi, siamo tre...: c'è anche Biscardi. l'Italia tornerà bella, il FullG regnante e la Juve in A. non ci sono palle. il dittatore interista cadrà, d'altra parte non han mai vinto un cazzo
il FullG ritornerà cià cià cià cià cià cià
voci assolutamente non confermate direbbero che il fullg e il dittator branzil ieri sera abbiano fatto le prove con due musici nuovi e antichi al contempo, temporaneamente accantonando il piperno e il mai grasso....malignità...? trama diabolica...? solo gossip...?
il dado è tratto
la nuova meta è stata raggiunta
la vita ha preso una nuova via
storie di padroni e mercenari guardano le rive del po
un nome scandisce il volere divino
riconoscere il tempo è degno erede del sentimento altrui
quando la storia diventa vita la guarigione è certa
amare la destinazione futura doma il terribile odio delle generazioni passate
le mani indicano la via della morte ma il pensiero segue idee applicate alla matematica
il qualunquismo godereccio del dolce stil novo annebbia il nuovo pensiero delle grotte di toirano.
il dado è tratto e la merda regnerà sovrana
esticom srl
via dei gervasi n.23
bassano del grappa
bassano del grappa 10.09.2006
spett.le ortem spa
via rovereto 34
10100 Torino
oggetto : nuovo ordine scatoloni
con la presente Vi riformuliamo
l'ordine di numero 2000 scatoloni 45x100 del 23.05.2006 codice ordine 1278/kj.
Alleghiamo alla presente l'ordine presentato via fax in data 23.05.2006 ore 10,25 al quale non è seguita consegna della merce in oggetto .
Certi di un vs riscontro porgiamo distinti saluti
esticom srl
all. n.1 ordine del 23.05.2006
ortem spa
via rovereto 34
10100 Torino
torino,10.09.2006
spett.le esticom srl
via dei gervasi n.23
bassano del grappa
oggetto : ricevimento ordine scatoloni
nello scusarci per il mancato invio della merce in oggetto con la presenti vi confermiamo il ricevimento dell'ordine di n. 1000 scatoloni 45x100 .
certi di una collaborazione futura porgiamo distinti saluti
ortem spa
fanculo erano 2000 nn 1000!!
scatoloni niente, ma bidoni tanti...
qui o si vola troppo alto o la si sta facendo fuori dal vaso....
presidente, profitto della sua presenza per chiedere delucidazioni in merito ai post di cui sopra, perchè nè io nè tutti gli altri ci abbiam capito un beneamato stracazzo (e, detto tra noi, col FullG tutto era sempre più chiaro...)
Manica di culi, tornate a suonare che è meglio....è l'unica cosa che sapete fare.
Viva la passera di Mombisaggio!!!!
Viva le piciarliche note!!!!!
Viva il FullG-Tex!!!!
Viva don Orione!!!!
L'importante è fare musica e voi si che la sapete fare, bravi, soprattutto il cantante... Continuate così----
Quando fate il concerto? E dove?
Scusate ragazzi, stò studiando un nuovo assolo ma mi serve una brugola per regolare il manico, ne avete una da prestarmi per favore?
Grazie.
Se passi a natale te ne regaliamo una noi di brugola.
se nel culo cercherai
una brugola troverai
comunque...non divaghiamo...il concerto quando e dove....? e quante gente...?
Certo che ste tre foto.....più che leader mi sembrate tre disgraziati... direi che il circo potrebbe essere il vostro ambiente naturale.... E poi scusatemi, perchè in un gruppo il leader è sempre il cantante o il chitarrista....non potrebbe essere il vostro bassista così bravo e carino o il vostro batterista così affidabile e professionale? E loro chi sono??? Sicuramente la parte migliore del gruppo.... Sono uomini veri, musicisi veri... e non delle checche isteriche.....
si si...non divaghiamo....e quando fate il concerto?....dove?...e quanta gente viene....? Dove vendete i biglietti?...... E il vostro album?....Quante copie fate?...Dove lo vendete? e quanto costa una copia?....
Diteci tutto, siamo molto interessati.....
se disco ci sarà
solo sul mulo si troverà
super gratise sarà
molto nascosto di qua e di là
chi vasco o liga digiterà
poi le piciarle sentirà
BRAVI BRAVI RAGAZZI, SIETE DEI MITI..... IN FONDO SIAMO TUTTI UN PO' PICIARLE ED E' PER QUESTO CHE PIACETE ALLA GENTE... CONTINUATE COSI'.
vacchini CULOOOOO!!!!!!
ATTENTO ANONIMO.....O IL CULO TE LO FACCIAMO NOI!!!!!
VACCHINI HA LO SCROTO DI PAGLIA
NN è VERO. NN HO LO SCROTO DA ANNI
Perchè non mettete mai foto del bassista? Per me è troppo bello....
Dai che a forza di cazzate anche il questo blogghe superiamo i 100.....complimenti al "gestore" di questo puttanaio....
Il capellone Vacchini è un nostro fidato compagno di vecchia data x lui ci sentiamo di ganrantire personalemnte e cooperativamente...anche sulla consistenza dello scroto...
Io trovo che una bella foto dello scroto di Tovarish Vachini sarebbe una dimostrazione di pluralismo bipartisan
..ma è Vachini o Vacchini ?
Ovviamente è Vacchini, datosi che la vacca è certamente di sinistra, mentre la vaca è dialettismo spregiativo di destra
ed ora con l'aiuto dello squirter vincerò !!
attacco squirtale......... energiaaaaaaaaaaaa!
Alabarda squirtale! Missili squirtanti!
cannone ad onde squirtanti
spada squirtante!
battuta a foglia squirtante
Colpo dei mille squirt di Okuto!
...devo insistere o ti arrendi?
Che ostiassa di mail mi devi mandare da ieri che ho la posta vuota come un piatto di tortelli dopo il tuo passaggio, ma qua ancora nn si vede un tubo?
non è una chat, è un blog, STRONZONI!
Eh già se fosse una chat ci sarebbero degli uomini che si fingono femmine porcone, invece qui...
UATA'!
che bello ! che bello !
è qui che c'è l'uccello ?!?!
che sia giovane o che sia vecchio
che sia brutto o che sia bello
voglio solo il vostro uccello!
ragazzi secondo me vi farebbe molto bene guardare il mio ultimo film, "asian fucking nation", soprattutto a te leopoldo, ma anche in generale, vi vedo un po' confusi...
Per curare questa marmaglia di cicciolini sbandati ci vorrebbe la mia scena di fecing col pelato in banane al cioccolato
ragazi gosa sdade digendo !
il meglio di sembre esser asian galeri
loro abiduade a gazi biggoli e senza beli.
anghe il never fat sembrare grande ugello gon asiadiga
dade redda al vosdro confessore e padre spiriduale.
un amorevole saludo a duddi, vagghini desgrodizzado ingluso
signori frequentatori di questo meraviglio blog.
ho le prove!
in data 23.11.1994 il signor vacchini andrea si è recato presso il mio general hospital di setterfield x un'operazione molto delicata.
ilnfatti l'allora 24enne giovane studente, alle prese con nuove esperienze sessuali si legò ,attorno allo scroto ,del fil di ferro arruginito legando il suddeto filo metallico ad una prese di corrente 330 v .
non c'è stato nulla da fare. abbiamo tentato il trapianto dello scroto di un panda, ma il bianco e nero della peluria era alquanto fastidioso. troverete le foto dell'attuale pene sescrotizzato del signor vacchini andrea presso il sito conosciuto in tutto il mondo www.rotten.com.
un saluto a tutti gli onorevoli membri del gruppo e a tutti i visitatori del blog
in fede dottor kilder
io sono l'amministratoro del sistemo e vi dico che siete una manica di stronzi, che invece di pensare a suonare di dedicate alle miserrime diatribe di successione sul trono del FullG ed a svilire la virile figura del prode Vakkini, eroe delle Piciarle e favorito dalle femmine, subito dopo il presunto duce Tersiglia. Vi consiglio vivamente di tornare alle sette note e di smettere di rompere il cazzo alle persone per bene. La siae e la GdF mi leggono per conoscenza.
malgrado siate mandarini malandrini vi amo alla follia come renzo amò lucia
Ma chi è Vacchini??
Quando si prova questa settimana???
Fatemi sapere ok?
CAPITOLO I
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, que1 borgo, già considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell'estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire a' contadini le fatiche della vendemmia. Dall'una all'altra di quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio all'altro, correvano, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di que1 vasto e variato specchio dell'acqua; di qua lago, chiuso all'estremità o piùttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo, e che l'acqua riflette capovolti, co' paesetti posti sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur tra' monti che l'accompagnano, degradando via via, e perdendosi quasi anch'essi nell'orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que' vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v'era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l'ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell'altre vedute.
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'intenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi.
Questa specie, ora del tutto perduta, era allora floridissima in Lombardia, e già molto antica. Chi non ne avesse idea, ecco alcuni squarci autentici, che potranno darne una bastante de' suoi caratteri principali, degli sforzi fatti per ispegnerla, e della sua dura e rigogliosa vitalità.
Fino dall'otto aprile dell'anno 1583, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d'Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa città di Milano, per cagione dei bravi e vagabondi,pubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi... i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno... ma, senza salario, o pur con esso, s'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o mercante... per fargli spalle e favore, o veramente, come si può presumere, per tendere insidie ad altri... A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a' renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà, per l'esecuzione dell'ordine. Ma, nell'anno seguente, il 12 aprile, scorgendo il detto signore, che questa Città è tuttavia piena di detti bravi... tornati a vivere come prima vivevano, non punto mutato il costume loro, né scemato il numero,dà fuori un'altra grida, ancor più vigorosa e notabile, nella quale, tra l'altre ordinazioni, prescrive:
Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimonj consterà esser tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non si verifichi aver fatto delitto alcuno... per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizj, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo... et ancorché non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come di sopra. Tutto ciò, e il di più che si tralascia, perché Sua Eccellenza è risoluta di voler essere obbedita da ognuno.
All'udir parole d'un tanto signore, così gagliarde e sicure, e accompagnate da tali ordini, viene una gran voglia di credere che, al solo rimbombo di esse, tutti i bravi siano scomparsi per sempre. Ma la testimonianza d'un signore non meno autorevole, né meno dotato di nomi, ci obbliga a credere tutto il contrario. E' questi l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Juan Fernandez de Velasco, Contestabile di Castiglia, Cameriero maggiore di Sua Maestà, Duca della Città di Frias, Conte di Haro e Castelnovo, Signore della Casa di Velasco, e di quella delli sette Infanti di Lara, Governatore dello Stato di Milano, etc. Il 5 giugno dell'anno 1593, pienamente informato anche lui di quanto danno e rovine sieno... i bravi e vagabondi, e del pessimo effetto che tal sorta di gente, fa contra il ben pubblico, et in delusione della giustizia, intima loro di nuovo che, nel termine di giorni sei, abbiano a sbrattare il paese, ripetendo a un dipresso le prescrizioni e le minacce medesime del suo predecessore. Il 23 maggio poi dell'anno 1598, informato, con non poco dispiacere dell'animo suo, che... ogni dì più in questa Città e Stato va crescendo il numero di questi tali(bravi e vagabondi) , né di loro, giorno e notte, altro si sente che ferite appostatamente date, omicidii e ruberie et ogni altra qualità di delitti, ai quali si rendono più facili, confidati essi bravi d'essere aiutati dai capi e fautori loro,... prescrive di nuovo gli stessi rimedi, accrescendo la dose, come s'usa nelle malattie ostinate. Ognuno dunque, conchiude poi, onninamente si guardi di contravvenire in parte alcuna alla grida presente, perché, in luogo di provare la clemenza di Sua Eccellenza, proverà il rigore, e l'ira sua... essendo risoluta e determinata che questa sia l'ultima e perentoria monizione.
Non fu però di questo parere l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Pietro Enriquez de Acevedo, Conte di Fuentes, Capitano, e Governatore dello Stato di Milano; non fu di questo parere, e per buone ragioni. Pienamente informato della miseria in che vive questa Città e Stato per cagione del gran numero di bravi che in esso abbonda... e risoluto di totalmente estirpare seme tanto pernizioso, dà fuori, il 5 decembre 1600, una nuova grida piena anch'essa di severissime comminazioni, con fermo proponimento che, con ogni rigore, e senza speranza di remissione, siano onninamente eseguite.
Convien credere però che non ci si mettesse con tutta quella buona voglia che sapeva impiegare nell'ordir cabale, e nel suscitar nemici al suo gran nemico Enrico IV; giacché, per questa parte, la storia attesta come riuscisse ad armare contro quel re il duca di Savoia, a cui fece perder più d'una città; come riuscisse a far congiurare il duca di Biron, a cui fece perder la testa; ma, per ciò che riguarda quel seme tanto pernizioso de' bravi, certo è che esso continuava a germogliare, il 22 settembre dell'anno 1612. In quel giorno l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Giovanni de Mendozza, Marchese de la Hynojosa, Gentiluomo etc., Governatore etc., pensò seriamente ad estirparlo. A quest'effetto, spedì a Pandolfo e Marco Tullio Malatesti, stampatori regii camerali, la solita grida, corretta ed accresciuta, perché la stampassero ad esterminio de' bravi. Ma questi vissero ancora per ricevere, il 24 decembre dell'anno 1618, gli stessi e più forti colpi dall'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Gomez Suarez de Figueroa, Duca di Feria, etc., Governatore etc. Però, non essendo essi morti neppur di quelli, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Gonzalo Fernandez di Cordova, sotto il cui governo accadde la passeggiata di don Abbondio, s'era trovato costretto a ricorreggere e ripubblicare la solita grida contro i bravi, il giorno 5 ottobre del 1627, cioè un anno, un mese e due giorni prima di quel memorabile avvenimento.
Né fu questa l'ultima pubblicazione; ma noi delle posteriori non crediamo dover far menzione, come di cosa che esce dal periodo della nostra storia. Ne accenneremo soltanto una del 13 febbraio dell'anno 1632, nella quale l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, el Duque de Feria, per la seconda volta governatore, ci avvisa che le maggiori sceleraggini procedono da quelli che chiamano bravi. Questo basta ad assicurarci che, nel tempo di cui noi trattiamo, c'era de' bravi tuttavia.
Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l'aspettato era lui. Perché, al suo apparire, coloro s'eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt'e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s'era alzato, tirando la sua gamba sulla strada; l'altro s'era staccato dal muro; e tutt'e due gli s'avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s'avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l'indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all'indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell'occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un'occhiata, al di sopra del muricciolo, ne' campi: nessuno; un'altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell'incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d'abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.
- Signor curato, - disse un di que' due, piantandogli gli occhi in faccia.
- Cosa comanda? - rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
- Lei ha intenzione, - proseguì l'altro, con l'atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull'intraprendere una ribalderia, - lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!
- Cioè... - rispose, con voce tremolante, don Abbondio: - cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c'entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s'anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.
- Or bene, - gli disse il bravo, all'orecchio, ma in tono solenne di comando, - questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai.
- Ma, signori miei, - replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, - ma, signori miei, si degnino di mettersi ne' miei panni. Se la cosa dipendesse da me,... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca...
- Orsù, - interruppe il bravo, - se la cosa avesse a decidersi a ciarle, lei ci metterebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di più. Uomo avvertito... lei c'intende.
- Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...
- Ma, - interruppe questa volta l'altro compagnone, che non aveva parlato fin allora, - ma il matrimonio non si farà, o... - e qui una buona bestemmia, - o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e... - un'altra bestemmia.
- Zitto, zitto, - riprese il primo oratore: - il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, purché abbia giudizio. Signor curato, l'illustrissimo signor don Rodrigo nostro padrone la riverisce caramente.
Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d'un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand'inchino, e disse: - se mi sapessero suggerire...
- Oh! suggerire a lei che sa di latino! - interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. - A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all'illustrissimo signor don Rodrigo?
- Il mio rispetto...
- Si spieghi meglio!
-... Disposto... disposto sempre all'ubbidienza -. E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato più serio.
- Benissimo, e buona notte, messere, - disse l'un d'essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. - Signori... - cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza più dargli udienza, presero la strada dond'era lui venuto, e s'allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stradette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l'altra, che parevano aggranchiate. Come stesse di dentro, s'intenderà meglio, quando avrem detto qualche cosa del suo naturale, e de' tempi in cui gli era toccato di vivere.
Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato con un cuor di leone. Ma, fin da' primi suoi anni, aveva dovuto comprendere che la peggior condizione, a que' tempi, era quella d'un animale senza artigli e senza zanne, e che pure non si sentisse inclinazione d'esser divorato. La forza legale non proteggeva in alcun conto l'uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui. Non già che mancassero leggi e pene contro le violenze private. Le leggi anzi diluviavano; i delitti erano enumerati, e particolareggiati, con minuta prolissità; le pene, pazzamente esorbitanti e, se non basta, aumentabili, quasi per ogni caso, ad arbitrio del legislatore stesso e di cento esecutori; le procedure, studiate soltanto a liberare il giudice da ogni cosa che potesse essergli d'impedimento a proferire una condanna: gli squarci che abbiam riportati delle gride contro i bravi, ne sono un piccolo, ma fedel saggio. Con tutto ciò, anzi in gran parte a cagion di ciò, quelle gride, ripubblicate e rinforzate di governo in governo, non servivano ad altro che ad attestare ampollosamente l'impotenza de' loro autori; o, se producevan qualche effetto immediato, era principalmente d'aggiunger molte vessazioni a quelle che i pacifici e i deboli già soffrivano da' perturbatori, e d'accrescer le violenze e l'astuzia di questi. L'impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere. Tali eran gli asili, tali i privilegi d'alcune classi, in parte riconosciuti dalla forza legale, in parte tollerati con astioso silenzio, o impugnati con vane proteste, ma sostenuti in fatto e difesi da quelle classi, con attività d'interesse, e con gelosia di puntiglio. Ora, quest'impunità minacciata e insultata, ma non distrutta dalle gride, doveva naturalmente, a ogni minaccia, e a ogni insulto, adoperar nuovi sforzi e nuove invenzioni, per conservarsi. Così accadeva in effetto; e, all'apparire delle gride dirette a comprimere i violenti, questi cercavano nella loro forza reale i nuovi mezzi più opportuni, per continuare a far ciò che le gride venivano a proibire. Potevan ben esse inceppare a ogni passo, e molestare l'uomo bonario, che fosse senza forza propria e senza protezione; perché, col fine d'aver sotto la mano ogni uomo, per prevenire o per punire ogni delitto, assoggettavano ogni mossa del privato al volere arbitrario d'esecutori d'ogni genere. Ma chi, prima di commettere il delitto, aveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in un convento, in un palazzo, dove i birri non avrebber mai osato metter piede; chi, senz'altre precauzioni, portava una livrea che impegnasse a difenderlo la vanità e l'interesse d'una famiglia potente, di tutto un ceto, era libero nelle sue operazioni, e poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride. Di quegli stessi ch'eran deputati a farle eseguire, alcuni appartenevano per nascita alla parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela; gli uni e gli altri, per educazione, per interesse, per consuetudine, per imitazione, ne avevano abbracciate le massime, e si sarebbero ben guardati dall'offenderle, per amor d'un pezzo di carta attaccato sulle cantonate. Gli uomini poi incaricati dell'esecuzione immediata, quando fossero stati intraprendenti come eroi, ubbidienti come monaci, e pronti a sacrificarsi come martiri, non avrebber però potuto venirne alla fine, inferiori com'eran di numero a quelli che si trattava di sottomettere, e con una gran probabilità d'essere abbandonati da chi, in astratto e, per così dire, in teoria, imponeva loro di operare. Ma, oltre di ciò, costoro eran generalmente de' più abbietti e ribaldi soggetti del loro tempo; l'incarico loro era tenuto a vile anche da quelli che potevano averne terrore, e il loro titolo un improperio. Era quindi ben naturale che costoro, in vece d'arrischiare, anzi di gettar la vita in un'impresa disperata, vendessero la loro inazione, o anche la loro connivenza ai potenti, e si riservassero a esercitare la loro esecrata autorità e la forza che pure avevano, in quelle occasioni dove non c'era pericolo; nell'opprimer cioè, e nel vessare gli uomini pacifici e senza difesa.
L'uomo che vuole offendere, o che teme, ogni momento, d'essere offeso, cerca naturalmente alleati e compagni. Quindi era, in que' tempi, portata al massimo punto la tendenza degl'individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna l'individuo trovava il vantaggio d'impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebber bastati, e per assicurarsene l'impunità. Le forze però di queste varie leghe eran molto disuguali; e, nelle campagne principalmente, il nobile dovizioso e violento, con intorno uno stuolo di bravi, e una popolazione di contadini avvezzi, per tradizione famigliare, e interessati o forzati a riguardarsi quasi come sudditi e soldati del padrone, esercitava un potere, a cui difficilmente nessun'altra frazione di lega avrebbe ivi potuto resistere.
Il nostro Abbondio non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo vollero prete. Per dir la verità, non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava: procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe riverita e forte, gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta. Ma una classe qualunque non protegge un individuo, non lo assicura, che fino a un certo segno: nessuna lo dispensa dal farsi un suo sistema particolare. Don Abbondio, assorbito continuamente ne' pensieri della propria quiete, non si curava di que' vantaggi, per ottenere i quali facesse bisogno d'adoperarsi molto, o d'arrischiarsi un poco. Il suo sistema consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi pugni, o con le coltellate. Se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all'altro ch'egli non gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete saputo esser voi il più forte? ch'io mi sarei messo dalla vostra parte. Stando alla larga da' prepotenti, dissimulando le loro soverchierie passeggiere e capricciose, corrispondendo con sommissioni a quelle che venissero da un'intenzione più seria e più meditata, costringendo, a forza d'inchini e di rispetto gioviale, anche i più burberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl'incontrava per la strada, il pover'uomo era riuscito a passare i sessant'anni, senza gran burrasche.
Non è però che non avesse anche lui il suo po' di fiele in corpo; e quel continuo esercitar la pazienza, quel dar così spesso ragione agli altri, que' tanti bocconi amari inghiottiti in silenzio, glielo avevano esacerbato a segno che, se non avesse, di tanto in tanto, potuto dargli un po' di sfogo, la sua salute n'avrebbe certamente sofferto. Ma siccome v'eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, persone ch'egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva con quelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso, e cavarsi anche lui la voglia d'essere un po' fantastico, e di gridare a torto. Era poi un rigido censore degli uomini che non si regolavan come lui, quando però la censura potesse esercitarsi senza alcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto era almeno almeno un imprudente; l'ammazzato era sempre stato un uomo torbido. A chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente, rimaneva col capo rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto; cosa non difficile, perché la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell'una o dell'altro. Sopra tutto poi, declamava contro que' suoi confratelli che, a loro rischio, prendevan le parti d'un debole oppresso, contro un soverchiatore potente. Questo chiamava un comprarsi gl'impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani; diceva anche severamente, ch'era un mischiarsi nelle cose profane, a danno della dignità del sacro ministero. E contro questi predicava, sempre però a quattr'occhi, o in un piccolissimo crocchio, con tanto più di veemenza, quanto più essi eran conosciuti per alieni dal risentirsi, in cosa che li toccasse personalmente. Aveva poi una sua sentenza prediletta, con la quale sigillava sempre i discorsi su queste materie: che a un galantuomo, il qual badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadon mai brutti incontri.
Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare sull'animo del poveretto, quello che s'è raccontato. Lo spavento di que' visacci e di quelle parolacce, la minaccia d'un signore noto per non minacciare invano, un sistema di quieto vivere, ch'era costato tant'anni di studio e di pazienza, sconcertato in un punto, e un passo dal quale non si poteva veder come uscirne: tutti questi pensieri ronzavano tumultuariamente nel capo basso di don Abbondio. « Se Renzo si potesse mandare in pace con un bel no, via; ma vorrà delle ragioni; e cosa ho da rispondergli, per amor del cielo? E, e, e, anche costui è una testa: un agnello se nessun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli... ih! E poi, e poi, perduto dietro a quella Lucia, innamorato come... Ragazzacci, che, per non saper che fare, s'innamorano, voglion maritarsi, e non pensano ad altro; non si fanno carico de' travagli in che mettono un povero galantuomo. Oh povero me! vedete se quelle due figuracce dovevan proprio piantarsi sulla mia strada, e prenderla con me! Che c'entro io? Son io che voglio maritarmi? Perché non son andati piuttosto a parlare... Oh vedete un poco: gran destino è il mio, che le cose a proposito mi vengan sempre in mente un momento dopo l'occasione. Se avessi pensato di suggerir loro che andassero a portar la loro imbasciata... » Ma, a questo punto, s'accorse che il pentirsi di non essere stato consigliere e cooperatore dell'iniquità era cosa troppo iniqua; e rivolse tutta la stizza de' suoi pensieri contro quell'altro che veniva così a togliergli la sua pace. Non conosceva don Rodrigo che di vista e di fama, né aveva mai avuto che far con lui, altro che di toccare il petto col mento, e la terra con la punta del suo cappello, quelle poche volte che l'aveva incontrato per la strada. Gli era occorso di difendere, in più d'un'occasione, la riputazione di quel signore, contro coloro che, a bassa voce, sospirando, e alzando gli occhi al cielo, maledicevano qualche suo fatto: aveva detto cento volte ch'era un rispettabile cavaliere. Ma, in quel momento gli diede in cuor suo tutti que' titoli che non aveva mai udito applicargli da altri, senza interrompere in fretta con un oibò. Giunto, tra il tumulto di questi pensieri, alla porta di casa sua, ch'era in fondo del paesello, mise in fretta nella toppa la chiave, che già teneva in mano; aprì, entrò, richiuse diligentemente; e, ansioso di trovarsi in una compagnia fidata, chiamò subito: - Perpetua! Perpetua! -, avviandosi pure verso il salotto, dove questa doveva esser certamente ad apparecchiar la tavola per la cena. Era Perpetua, come ognun se n'avvede, la serva di don Abbondio: serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l'occasione, tollerare a tempo il brontolìo e le fantasticaggini del padrone, e fargli a tempo tollerar le proprie, che divenivan di giorno in giorno più frequenti, da che aveva passata l'età sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevan le sue amiche.
- Vengo, - rispose, mettendo sul tavolino, al luogo solito, il fiaschetto del vino prediletto di don Abbondio, e si mosse lentamente; ma non aveva ancor toccata la soglia del salotto, ch'egli v'entrò, con un passo così legato, con uno sguardo così adombrato, con un viso così stravolto, che non ci sarebbero nemmen bisognati gli occhi esperti di Perpetua, per iscoprire a prima vista che gli era accaduto qualche cosa di straordinario davvero.
- Misericordia! cos'ha, signor padrone?
- Niente, niente, - rispose don Abbondio, lasciandosi andar tutto ansante sul suo seggiolone.
- Come, niente? La vuol dare ad intendere a me? così brutto com'è? Qualche gran caso è avvenuto.
- Oh, per amor del cielo! Quando dico niente, o è niente, o è cosa che non posso dire.
- Che non può dir neppure a me? Chi si prenderà cura della sua salute? Chi le darà un parere?...
- Ohimè! tacete, e non apparecchiate altro: datemi un bicchiere del mio vino.
- E lei mi vorrà sostenere che non ha niente! - disse Perpetua, empiendo il bicchiere, e tenendolo poi in mano, come se non volesse darlo che in premio della confidenza che si faceva tanto aspettare.
- Date qui, date qui, - disse don Abbondio, prendendole il bicchiere, con la mano non ben ferma, e votandolo poi in fretta, come se fosse una medicina.
- Vuol dunque ch'io sia costretta di domandar qua e là cosa sia accaduto al mio padrone? - disse Perpetua, ritta dinanzi a lui, con le mani arrovesciate sui fianchi, e le gomita appuntate davanti, guardandolo fisso, quasi volesse succhiargli dagli occhi il segreto.
- Per amor del cielo! non fate pettegolezzi, non fate schiamazzi: ne va... ne va la vita!
- La vita!
- La vita.
- Lei sa bene che, ogni volta che m'ha detto qualche cosa sinceramente, in confidenza, io non ho mai...
- Brava! come quando...
Perpetua s'avvide d'aver toccato un tasto falso; onde, cambiando subito il tono, - signor padrone, - disse, con voce commossa e da commovere, - io le sono sempre stata affezionata; e, se ora voglio sapere, è per premura, perché vorrei poterla soccorrere, darle un buon parere, sollevarle l'animo...
Il fatto sta che don Abbondio aveva forse tanta voglia di scaricarsi del suo doloroso segreto, quanta ne avesse Perpetua di conoscerlo; onde, dopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e più incalzanti assalti di lei, dopo averle fatto più d'una volta giurare che non fiaterebbe, finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè, le raccontò il miserabile caso. Quando si venne al nome terribile del mandante, bisognò che Perpetua proferisse un nuovo e più solenne giuramento; e don Abbondio, pronunziato quel nome, si rovesciò sulla spalliera della seggiola, con un gran sospiro, alzando le mani, in atto insieme di comando e di supplica, e dicendo: - per amor del cielo!
- Delle sue! - esclamò Perpetua. - Oh che birbone! oh che soverchiatore! oh che uomo senza timor di Dio!
- Volete tacere? o volete rovinarmi del tutto?
- Oh! siam qui soli che nessun ci sente. Ma come farà, povero signor padrone?
- Oh vedete, - disse don Abbondio, con voce stizzosa: - vedete che bei pareri mi sa dar costei! Viene a domandarmi come farò, come farò; quasi fosse lei nell'impiccio, e toccasse a me di levarnela.
- Ma! io l'avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi...
- Ma poi, sentiamo.
- Il mio parere sarebbe che, siccome tutti dicono che il nostro arcivescovo è un sant'uomo, e un uomo di polso, e che non ha paura di nessuno, e, quando può fare star a dovere un di questi prepotenti, per sostenere un curato, ci gongola; io direi, e dico che lei gli scrivesse una bella lettera, per informarlo come qualmente...
- Volete tacere? volete tacere? Son pareri codesti da dare a un pover'uomo? Quando mi fosse toccata una schioppettata nella schiena, Dio liberi! l'arcivescovo me la leverebbe?
- Eh! le schioppettate non si dànno via come confetti: e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto; e, appunto perché lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti a segno che tutti vengono, con licenza, a...
- Volete tacere?
- Io taccio subito; ma è però certo che, quando il mondo s'accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le...
- Volete tacere? E' tempo ora di dir codeste baggianate?
- Basta: ci penserà questa notte; ma intanto non cominci a farsi male da sé, a rovinarsi la salute; mangi un boccone.
- Ci penserò io, - rispose, brontolando, don Abbondio: - sicuro; io ci penserò, io ci ho da pensare - E s'alzò, continuando: - non voglio prender niente; niente: ho altra voglia: lo so anch'io che tocca a pensarci a me. Ma! la doveva accader per l'appunto a me.
- Mandi almen giù quest'altro gocciolo, - disse Perpetua, mescendo. - Lei sa che questo le rimette sempre lo stomaco.
- Eh! ci vuol altro, ci vuol altro, ci vuol altro. Così dicendo prese il lume, e, brontolando sempre: - una piccola bagattella! a un galantuomo par mio! e domani com'andrà? - e altre simili lamentazioni, s'avviò per salire in camera. Giunto su la soglia, si voltò indietro verso Perpetua, mise il dito sulla bocca, disse, con tono lento e solenne : - per amor del cielo! -, e disparve.
E a te che cazzo te ne frega.....
ormai i 2 arcadia delle piciarle suono orientati verso altre vie musicali..
scommettiamo che neanche questo lunedi ci saranno le prove delle piciarlone???
Ohimè! la potta! crudel! che fai,
con questo così grosso orrendo cazzo?
- Taci, cor mio FullG, che così gran sollazzo
non ci cangi il padrone in stenti e in guai.
E se del fotter mio piacer non hai,
fatti pur verso me qui, dallo spasso,
che se sino ai coglion dentro va il cazzo,
dolcezza assai maggior ne sentirai.
- Eccomi pronta, o fido servo caro!
Fà di me le tue voglie, e in faticarte
per ben servir non esser punto avaro.
- Non dubitar mio bel FullG, ben mio; ch'io voglio darte
sì ghiotta fottitura, e in modo raro,
ch'invidia n'averàn Venere e Marte.
Potrebbe in potta entrarte,
dimmi, di grazia, il più superbo rulo?
- In potta no, ma il ciel mi guardi il culo FullG mio eroe!!!
le prove de Le Piciarle di questa settimana sono saltate solo ed eslcusivamente perchè un invito a cena di un putto biondo e trombante ha esaurito le libere uscite del lìder maximo FullG. lo stesso lìder, con infinito rammarico, m'incarica di riferirvi queste sentite parole. la piciarle INC, invece, insieme all'affiliata Miglietto&Luciano s.a.s., comunica che non verranno tollerati assolutamente altri capitoli di quello scarsone di pseudoscrittore che fu il manzone , a pena dell'annullamento dello stesso blog (e non stiamo scherzando, cazzo).
e al porcon poeta invece tutto sia concesso, per dio !
si sono liberati giusto tre posti, qui da noi...
Ragazzi, stò sistemando l'arpeggio degli angeli ma per finire mi servirebbe una brugolina....., chi me la potrebbe prestare???
Grazie.
Spingi e respingi e spingi ancora il cazzo o mio bel torrello di piciarla in fiore....
in cul a questa, che mai l'ebbe in potta;
che questa fottitura è la più ghiotta o mio FullG,
che piacque a donna, a cui ben piacque il cazzo.
- Messere Lorens..Veder potete voi s'io mi ci ammazzo,
e che di me non v'è chi meglio fotta;
che quasi l'una e l'altra è già corrotta,
né provasti giammai maggior sollazzo.
- E' ver, ben mio; ma mena con più fretta;
indietro spingi il cazzo; ahi! mena inante.
- Io meno, io faccio, Amor sì mi diletta!
- O bella prova di un fedele amante!
Far corromper due volte, in fretta in fretta,
ed egli sempre star duro e costante!
Cazzo mio d'adamante!
Ben posso dir ch'io godo, anima mia FullG.
Amor ti salvi, e ognor piciarla teco sia!
Mettimi un dito in cul, caro vecchione,
e spinge il tuo grasso cazzo dentro a poco a poco ;
alza ben questa gamba a far buon gioco,
poi mena senza far reputazione.
Che, per mia fé! quest'è il miglior boccone
che mangiar il pan unto appresso al foco;
e s'in potta ti spiace, muta luoco,
ch'uomo non è chi non è buggiarone.
- In potta io v'el farò per questa fiata,
in cul quest'altra, e in potta e in culo il cazzo
mi farà lieto, e voi farà beata.
E chi vuol essre gran maestro è pazzo
ch'è proprio un uccel perde giornata,
chi d'altro che di fotter ha sollazzo o mio Maigrassos.
E crepi in un palazzo,
ser cortigiano, e spetti ch'il tal muoja:
ch'io per me spero sol trarmi la foja.
L'ufficio stampa dell'onorevole scroto del bassista vacchini a.a.
PRESO ATTO
dei continui attacchi presenti in questo spazio virtuale alla persona del medesimo
CONSIDERATO
che tali aggressioni hanno principalmente ad oggetto la virilità dello stesso
TENUTO CONTO
dell' evidente contenuto diffamatorio delle dichiarazioni contenute nel presente blog
CONSIDERATO ALTRESI'
che sono pergiunte a codesto ufficio numerose segnalazioni di fanz inviperite, pronte a testimoniare personalmente la mai discussa potenza virile del suddetto
VISTO
che avete rotto il cazzo
SI RENDE NOTO CHE
per ottener giusto soddisfo e lavar l'onta del perpetrato spregio,
il Nostro lancia ufficialmente il guanto in faccia a tutti gli anonimi e codardi detrattori, singolarmente invitandoli, se ne hanno il fegato, a perduello, secondo le regole della casa Milinga, all'ora e nel luogo che piacerà loro, con scelta dell'arme.
Si attende risposta.
Uff. St. On. Sc. A.V.
Cara Sandra....comunico a te e alle Piciarle che d'ora in avanti il bimbo maigrasso non uscirà più di casa il martedì sera e rimarrà nella sua stanza a giocare con la scatola delle brugole nuove che gli ho comprato...
NO NO...il maigrasso no....
E' uscita la nuova serie delle brugole da asporto....
Pure tu Fù....FullG..., il martedì sera te ne stai a casa a giocare con il pongo!!!
senti un po', stronzetta, il Mai Grasso è mio, e va dove dico io: al martedì mi porta a vedere i cazziduri dei suoi musici, e mi sollazzo coi di lui musici e col suo cazzo
il mio lìder e padrone al maredì va dove vuole, e semmai sarò io che gli porterò il pongo, se con tale obrobbrio si vorrà sollazzare
e poi FullG e Mai Grasso non hanno fanz del martedì, o di qualunque altro giorno...: una volta, essi andavano via come il pane....ma ormai....
Altri sono i trombador cortesi
che la storia delle piciarle volle sospesi
tra l'ufficial cui ogni tanto si da botta
e la fanz ultrabagnata che da' potta
chi di arcadia ferisce, di arcadia perisce...
caro vak descrotizzato...
la mia intenzione era quella di scegliere come arma di sfida lo scroto dalle donne tanto amato....ma credo sia impossibile x te..
quindi, lascio a te la scelta dell'arma del luogo e dell'ora.
e no cazzo, no...di Arcadia ce ne è soltano una... LA MIA!
CAPITOLO II
Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma, in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina. Don Abbondio in vece non sapeva altro ancora se non che l'indomani sarebbe giorno di battaglia; quindi una gran parte della notte fu spesa in consulte angosciose. Non far caso dell'intimazione ribalda, né delle minacce, e fare il matrimonio, era un partito, che non volle neppur mettere in deliberazione. Confidare a Renzo l'occorrente, e cercar con lui qualche mezzo... Dio liberi! - Non si lasci scappar parola... altrimenti... ehm!- aveva detto un di que' bravi; e, al sentirsi rimbombar quell'ehm! nella mente, don Abbondio, non che pensare a trasgredire una tal legge, si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua. Fuggire? Dove? E poi! Quant'impicci, e quanti conti da rendere! A ogni partito che rifiutava, il pover'uomo si rivoltava nel letto. Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo, menando Renzo per le lunghe. Si rammentò a proposito, che mancavan pochi giorni al tempo proibito per le nozze; « e, se posso tenere a bada, per questi pochi giorni, quel ragazzone, ho poi due mesi di respiro; e, in due mesi, può nascer di gran cose ». Ruminò pretesti da metter in campo; e, benché gli paressero un po' leggieri, pur s'andava rassicurando col pensiero che la sua autorità gli avrebbe fatti parer di giusto peso, e che la sua antica esperienza gli darebbe gran vantaggio sur un giovanetto ignorante. « Vedremo, - diceva tra sé: - egli pensa alla morosa; ma io penso alla pelle: il più interessato son io, lasciando stare che sono il più accorto. Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di mezzo ». Fermato così un poco l'animo a una deliberazione, poté finalmente chiuder occhio: ma che sonno! che sogni! Bravi, don Rodrigo, Renzo, viottole, rupi, fughe, inseguimenti, grida, schioppettate. Il primo svegliarsi, dopo una sciagura, e in un impiccio, è un momento molto amaro. La mente, appena risentita, ricorre all'idee abituali della vita tranquilla antecedente; ma il pensiero del nuovo stato di cose le si affaccia subito sgarbatamente; e il dispiacere ne è più vivo in quel paragone istantaneo. Assaporato dolorosamente questo momento, don Abbondio ricapitolò subito i suoi disegni della notte, si confermò in essi, gli ordinò meglio, s'alzò, e stette aspettando Renzo con timore e, ad un tempo, con impazienza. Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo non si fece molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al curato, v'andò, con la lieta furia d'un uomo di vent'anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama. Era, fin dall'adolescenza, rimasto privo de' parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir così, nella sua famiglia; professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora già in decadenza, ma non però a segno che un abile operaio non potesse cavarne di che vivere onestamente. Il lavoro andava di giorno in giorno scemando; ma l'emigrazione continua de' lavoranti, attirati negli stati vicini da promesse, da privilegi e da grosse paghe, faceva sì che non ne mancasse ancora a quelli che rimanevano in paese. Oltre di questo, possedeva Renzo un poderetto che faceva lavorare e lavorava egli stesso, quando il filatoio stava fermo; di modo che, per la sua condizione, poteva dirsi agiato. E quantunque quell'annata fosse ancor più scarsa delle antecedenti, e già si cominciasse a provare una vera carestia, pure il nostro giovine, che, da quando aveva messi gli occhi addosso a Lucia, era divenuto massaio, si trovava provvisto bastantemente, e non aveva a contrastar con la fame. Comparve davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario colore al cappello, col suo pugnale del manico bello, nel taschino de' calzoni, con una cert'aria di festa e nello stesso tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti. L'accoglimento incerto e misterioso di don Abbondio fece un contrapposto singolare ai modi gioviali e risoluti del giovinotto.
« Che abbia qualche pensiero per la testa », argomentò Renzo tra sé; poi disse: - son venuto, signor curato, per sapere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa.
- Di che giorno volete parlare?
- Come, di che giorno? non si ricorda che s'è fissato per oggi?
- Oggi? - replicò don Abbondio, come se ne sentisse parlare per la prima volta. - Oggi, oggi... abbiate pazienza, ma oggi non posso.
- Oggi non può! Cos'è nato?
- Prima di tutto, non mi sento bene, vedete.
- Mi dispiace; ma quello che ha da fare è cosa di così poco tempo, e di così poca fatica...
- E poi, e poi, e poi...
- E poi che cosa?
- E poi c'è degli imbrogli.
- Degl'imbrogli? Che imbrogli ci può essere?
- Bisognerebbe trovarsi nei nostri piedi, per conoscer quanti impicci nascono in queste materie, quanti conti s'ha da rendere. Io son troppo dolce di cuore, non penso che a levar di mezzo gli ostacoli, a facilitar tutto, a far le cose secondo il piacere altrui, e trascuro il mio dovere; e poi mi toccan de' rimproveri, e peggio.
- Ma, col nome del cielo, non mi tenga così sulla corda, e mi dica chiaro e netto cosa c'è.
- Sapete voi quante e quante formalità ci vogliono per fare un matrimonio in regola?
- Bisogna ben ch'io ne sappia qualche cosa, - disse Renzo, cominciando ad alterarsi, - poiché me ne ha già rotta bastantemente la testa, questi giorni addietro. Ma ora non s'è sbrigato ogni cosa? non s'è fatto tutto ciò che s'aveva a fare?
- Tutto, tutto, pare a voi: perché, abbiate pazienza, la bestia son io, che trascuro il mio dovere, per non far penare la gente. Ma ora... basta, so quel che dico. Noi poveri curati siamo tra l'ancudine e il martello: voi impaziente; vi compatisco, povero giovane; e i superiori... basta, non si può dir tutto. E noi siam quelli che ne andiam di mezzo.
- Ma mi spieghi una volta cos'è quest'altra formalità che s'ha a fare, come dice; e sarà subito fatta.
- Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?
- Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?
- Error, conditio, votum, cognatio, crimen,
Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
Si sis affinis,... - cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita.
- Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?
- Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa.
- Orsù!...
- Via, caro Renzo, non andate in collera, che son pronto a fare... tutto quello che dipende da me. Io, io vorrei vedervi contento; vi voglio bene io. Eh!... quando penso che stavate così bene; cosa vi mancava? V'è saltato il grillo di maritarvi...
- Che discorsi son questi, signor mio? - proruppe Renzo, con un volto tra l'attonito e l'adirato.
- Dico per dire, abbiate pazienza, dico per dire. Vorrei vedervi contento.
- In somma...
- In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l'ho fatta io. E, prima di conchiudere un matrimonio, noi siam proprio obbligati a far molte e molte ricerche, per assicurarci che non ci siano impedimenti.
- Ma via, mi dica una volta che impedimento è sopravvenuto?
- Abbiate pazienza, non son cose da potersi decifrare così su due piedi. Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi le dobbiam fare. Il testo è chiaro e lampante: antequam matrimonium denunciet...
- Le ho detto che non voglio latino.
- Ma bisogna pur che vi spieghi...
- Ma non le ha già fatte queste ricerche?
- Non le ho fatte tutte, come avrei dovuto, vi dico.
- Perché non le ha fatte a tempo? perché dirmi che tutto era finito? perché aspettare...
- Ecco! mi rimproverate la mia troppa bontà. Ho facilitato ogni cosa per servirvi più presto: ma... ma ora mi son venute... basta, so io.
- E che vorrebbe ch'io facessi?
- Che aveste pazienza per qualche giorno. Figliuol caro, qualche giorno non è poi l'eternità: abbiate pazienza.
- Per quanto?
« Siamo a buon porto », pensò fra sé don Abbondio; e, con un fare più manieroso che mai, - via, - disse: - in quindici giorni cercherò,... procurerò...
- Quindici giorni! oh questa sì ch'è nuova! S'è fatto tutto ciò che ha voluto lei; s'è fissato il giorno; il giorno arriva; e ora lei mi viene a dire che aspetti quindici giorni! Quindici... - riprese poi, con voce più alta e stizzosa, stendendo il braccio, e battendo il pugno nell'aria; e chi sa qual diavoleria avrebbe attaccata a quel numero, se don Abbondio non l'avesse interrotto, prendendogli l'altra mano, con un'amorevolezza timida e premurosa: - via, via, non v'alterate, per amor del cielo. Vedrò, cercherò se, in una settimana...
- E a Lucia che devo dire?
- Ch'è stato un mio sbaglio.
- E i discorsi del mondo?
- Dite pure a tutti, che ho sbagliato io, per troppa furia, per troppo buon cuore: gettate tutta la colpa addosso a me. Posso parlar meglio? via, per una settimana.
- E poi, non ci sarà più altri impedimenti?
- Quando vi dico...
- Ebbene: avrò pazienza per una settimana; ma ritenga bene che, passata questa, non m'appagherò più di chiacchiere. Intanto la riverisco -. E così detto, se n'andò, facendo a don Abbondio un inchino men profondo del solito, e dandogli un'occhiata più espressiva che riverente.
Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L'accoglienza fredda e impicciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que' due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d'incontrarsi con le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quell'accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che don Abbondio aveva voluto far credere. Stette il giovine in forse un momento di tornare indietro, per metterlo alle strette, e farlo parlar più chiaro; ma, alzando gli occhi, vide Perpetua che camminava dinanzi a lui, ed entrava in un orticello pochi passi distante dalla casa. Le diede una voce, mentre essa apriva l'uscio; studiò il passo, la raggiunse, la ritenne sulla soglia, e, col disegno di scovar qualche cosa di più positivo, si fermò ad attaccar discorso con essa.
- Buon giorno, Perpetua: io speravo che oggi si sarebbe stati allegri insieme.
- Ma! quel che Dio vuole, il mio povero Renzo.
- Fatemi un piacere: quel benedett'uomo del signor curato m'ha impastocchiate certe ragioni che non ho potuto ben capire: spiegatemi voi meglio perché non può o non vuole maritarci oggi.
- Oh! vi par egli ch'io sappia i segreti del mio padrone?
« L'ho detto io, che c'era mistero sotto », pensò Renzo; e, per tirarlo in luce, continuò: - via, Perpetua; siamo amici; ditemi quel che sapete, aiutate un povero figliuolo.
- Mala cosa nascer povero, il mio caro Renzo.
- E' vero, - riprese questo, sempre più confermandosi ne' suoi sospetti; e, cercando d'accostarsi più alla questione, - è vero, - soggiunse, - ma tocca ai preti a trattar male co' poveri?
- Sentite, Renzo; io non posso dir niente, perché... non so niente; ma quello che vi posso assicurare è che il mio padrone non vuol far torto, né a voi né a nessuno; e lui non ci ha colpa.
- Chi è dunque che ci ha colpa? - domandò Renzo, con un cert'atto trascurato, ma col cuor sospeso, e con l'orecchio all'erta.
- Quando vi dico che non so niente... In difesa del mio padrone, posso parlare; perché mi fa male sentire che gli si dia carico di voler far dispiacere a qualcheduno. Pover'uomo! se pecca, è per troppa bontà. C'è bene a questo mondo de' birboni, de' prepotenti, degli uomini senza timor di Dio...
« Prepotenti! birboni! - pensò Renzo: - questi non sono i superiori ». - Via, - disse poi, nascondendo a stento l'agitazione crescente, - via, ditemi chi è.
- Ah! voi vorreste farmi parlare; e io non posso parlare, perché... non so niente: quando non so niente, è come se avessi giurato di tacere. Potreste darmi la corda, che non mi cavereste nulla di bocca. Addio; è tempo perduto per tutt'e due -. Così dicendo, entrò in fretta nell'orto, e chiuse l'uscio. Renzo, rispostole con un saluto, tornò indietro pian piano, per non farla accorgere del cammino che prendeva; ma, quando fu fuor del tiro dell'orecchio della buona donna, allungò il passo; in un momento fu all'uscio di don Abbondio; entrò, andò diviato al salotto dove l'aveva lasciato, ve lo trovò, e corse verso lui, con un fare ardito, e con gli occhi stralunati.
- Eh! eh! che novità è questa? - disse don Abbondio.
- Chi è quel prepotente, - disse Renzo, con la voce d'un uomo ch'è risoluto d'ottenere una risposta precisa, - chi è quel prepotente che non vuol ch'io sposi Lucia?
- Che? che? che? - balbettò il povero sorpreso, con un volto fatto in un istante bianco e floscio, come un cencio che esca del bucato. E, pur brontolando, spiccò un salto dal suo seggiolone, per lanciarsi all'uscio. Ma Renzo, che doveva aspettarsi quella mossa, e stava all'erta, vi balzò prima di lui, girò la chiave, e se la mise in tasca.
- Ah! ah! parlerà ora, signor curato? Tutti sanno i fatti miei, fuori di me. Voglio saperli, per bacco, anch'io. Come si chiama colui?
- Renzo! Renzo! per carità, badate a quel che fate; pensate all'anima vostra.
- Penso che lo voglio saper subito, sul momento -. E, così dicendo, mise, forse senza avvedersene, la mano sul manico del coltello che gli usciva dal taschino.
- Misericordia! - esclamò con voce fioca don Abbondio.
- Lo voglio sapere.
- Chi v'ha detto...
- No, no; non più fandonie. Parli chiaro e subito.
- Mi volete morto?
- Voglio sapere ciò che ho ragion di sapere.
- Ma se parlo, son morto. Non m'ha da premere la mia vita?
- Dunque parli. Quel « dunque » fu proferito con una tale energia, l'aspetto di Renzo divenne così minaccioso, che don Abbondio non poté più nemmen supporre la possibilità di disubbidire.
- Mi promettete, mi giurate, - disse - di non parlarne con nessuno, di non dir mai...?
- Le prometto che fo uno sproposito, se lei non mi dice subito subito il nome di colui.
A quel nuovo scongiuro, don Abbondio, col volto, e con lo sguardo di chi ha in bocca le tanaglie del cavadenti, proferì: - don...
- Don? - ripeté Renzo, come per aiutare il paziente a buttar fuori il resto; e stava curvo, con l'orecchio chino sulla bocca di lui, con le braccia tese, e i pugni stretti all'indietro.
- Don Rodrigo! - pronunziò in fretta il forzato, precipitando quelle poche sillabe, e strisciando le consonanti, parte per il turbamento, parte perché, rivolgendo pure quella poca attenzione che gli rimaneva libera, a fare una transazione tra le due paure, pareva che volesse sottrarre e fare scomparir la parola, nel punto stesso ch'era costretto a metterla fuori.
- Ah cane! - urlò Renzo. - E come ha fatto? Cosa le ha detto per...?
- Come eh? come? - rispose, con voce quasi sdegnosa, don Abbondio, il quale, dopo un così gran sagrifizio, si sentiva in certo modo divenuto creditore. - Come eh? Vorrei che la fosse toccata a voi, come è toccata a me, che non c'entro per nulla; che certamente non vi sarebber rimasti tanti grilli in capo -. E qui si fece a dipinger con colori terribili il brutto incontro; e, nel discorrere, accorgendosi sempre più d'una gran collera che aveva in corpo, e che fin allora era stata nascosta e involta nella paura, e vedendo nello stesso tempo che Renzo, tra la rabbia e la confusione, stava immobile, col capo basso, continuò allegramente: - avete fatta una bella azione! M'avete reso un bel servizio! Un tiro di questa sorte a un galantuomo, al vostro curato! in casa sua! in luogo sacro! Avete fatta una bella prodezza! Per cavarmi di bocca il mio malanno, il vostro malanno! ciò ch'io vi nascondevo per prudenza, per vostro bene! E ora che lo sapete? Vorrei vedere che mi faceste...! Per amor del cielo! Non si scherza. Non si tratta di torto o di ragione; si tratta di forza. E quando, questa mattina, vi davo un buon parere... eh! subito nelle furie. Io avevo giudizio per me e per voi; ma come si fa? Aprite almeno; datemi la mia chiave.
- Posso aver fallato, - rispose Renzo, con voce raddolcita verso don Abbondio, ma nella quale si sentiva il furore contro il nemico scoperto: - posso aver fallato; ma si metta la mano al petto, e pensi se nel mio caso...
Così dicendo, s'era levata la chiave di tasca, e andava ad aprire. Don Abbondio gli andò dietro, e, mentre quegli girava la chiave nella toppa, se gli accostò, e, con volto serio e ansioso, alzandogli davanti agli occhi le tre prime dita della destra, come per aiutarlo anche lui dal canto suo, - giurate almeno... - gli disse.
- Posso aver fallato; e mi scusi, - rispose Renzo, aprendo, e disponendosi ad uscire.
- Giurate... - replicò don Abbondio, afferrandogli il braccio con la mano tremante.
- Posso aver fallato, - ripeté Renzo, sprigionandosi da lui; e partì in furia, troncando così la questione, che, al pari d'una questione di letteratura o di filosofia o d'altro, avrebbe potuto durar dei secoli, giacché ognuna delle parti non faceva che replicare il suo proprio argomento.
- Perpetua! Perpetua! - gridò don Abbondio, dopo avere invano richiamato il fuggitivo. Perpetua non risponde: don Abbondio non sapeva più in che mondo si fosse.
E' accaduto più d'una volta a personaggi di ben più alto affare che don Abbondio, di trovarsi in frangenti così fastidiosi, in tanta incertezza di partiti, che parve loro un ottimo ripiego mettersi a letto con la febbre. Questo ripiego, egli non lo dovette andare a cercare, perché gli si offerse da sé. La paura del giorno avanti, la veglia angosciosa della notte, la paura avuta in quel momento, l'ansietà dell'avvenire, fecero l'effetto. Affannato e balordo, si ripose sul suo seggiolone, cominciò a sentirsi qualche brivido nell'ossa, si guardava le unghie sospirando, e chiamava di tempo in tempo, con voce tremolante e stizzosa: - Perpetua! - La venne finalmente, con un gran cavolo sotto il braccio, e con la faccia tosta, come se nulla fosse stato. Risparmio al lettore i lamenti, le condoglianze, le accuse, le difese, i « voi sola potete aver parlato », e i « non ho parlato », tutti i pasticci in somma di quel colloquio. Basti dire che don Abbondio ordinò a Perpetua di metter la stanga all'uscio, di non aprir più per nessuna cagione, e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato era andato a letto con la febbre. Salì poi lentamente le scale, dicendo, ogni tre scalini, - son servito -; e si mise davvero a letto, dove lo lasceremo.
Renzo intanto camminava a passi infuriati verso casa, senza aver determinato quel che dovesse fare, ma con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile. I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi. Renzo era un giovine pacifico e alieno dal sangue, un giovine schietto e nemico d'ogni insidia; ma, in que' momenti, il suo cuore non batteva che per l'omicidio, la sua mente non era occupata che a fantasticare un tradimento. Avrebbe voluto correre alla casa di don Rodrigo, afferrarlo per il collo, e... ma gli veniva in mente ch'era come una fortezza, guarnita di bravi al di dentro, e guardata al di fuori; che i soli amici e servitori ben conosciuti v'entravan liberamente, senza essere squadrati da capo a piedi; che un artigianello sconosciuto non vi potrebb'entrare senza un esame, e ch'egli sopra tutto... egli vi sarebbe forse troppo conosciuto. Si figurava allora di prendere il suo schioppo, d'appiattarsi dietro una siepe, aspettando se mai, se mai colui venisse a passar solo; e, internandosi, con feroce compiacenza, in quell'immaginazione, si figurava di sentire una pedata, quella pedata, d'alzar chetamente la testa; riconosceva lo scellerato, spianava lo schioppo, prendeva la mira, sparava, lo vedeva cadere e dare i tratti, gli lanciava una maledizione, e correva sulla strada del confine a mettersi in salvo. « E Lucia? » Appena questa parola si fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era avvezza la mente di Renzo, v'entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de' suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e de' santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata di trovarsi senza delitti, all'orrore che aveva tante volte provato al racconto d'un omicidio; e si risvegliò da quel sogno di sangue, con ispavento, con rimorso, e insieme con una specie di gioia di non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco! Tante speranze, tante promesse, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto sicuro, e quel giorno così sospirato! E come, con che parole annunziarle una tal nuova? E poi, che partito prendere? Come farla sua, a dispetto della forza di quell'iniquo potente? E insieme a tutto questo, non un sospetto formato, ma un'ombra tormentosa gli passava per la mente. Quella soverchieria di don Rodrigo non poteva esser mossa che da una brutale passione per Lucia. E Lucia? Che avesse data a colui la più piccola occasione, la più leggiera lusinga, non era un pensiero che potesse fermarsi un momento nella testa di Renzo. Ma n'era informata? Poteva colui aver concepita quell'infame passione, senza che lei se n'avvedesse? Avrebbe spinte le cose tanto in là, prima d'averla tentata in qualche modo? E Lucia non ne aveva mai detta una parola a lui! al suo promesso!
Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch'era nel mezzo del villaggio, e, attraversatolo, s'avviò a quella di Lucia, ch'era in fondo, anzi un po' fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino. Renzo entrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S'immaginò che sarebbero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quel mercato, con quella nuova in corpo e sul volto. Una fanciulletta che si trovava nel cortile, gli corse incontro gridando: - lo sposo! lo sposo!
- Zitta, Bettina, zitta! - disse Renzo. - Vien qua; va' su da Lucia, tirala in disparte, e dille all'orecchio... ma che nessun senta, né sospetti di nulla, ve'... dille che ho da parlarle, che l'aspetto nella stanza terrena, e che venga subito -. La fanciulletta salì in fretta le scale, lieta e superba d'avere una commission segreta da eseguire.
Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s'andava schermendo, con quella modestia un po' guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s'apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d'argento, che si dividevano all'intorno, quasi a guisa de' raggi d'un'aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d'oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch'esse, a ricami. Oltre a questo, ch'era l'ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano d'una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevan sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand'in quando sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare. La piccola Bettina si cacciò nel crocchio, s'accostò a Lucia, le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse la sua parolina all'orecchio.
- Vo un momento, e torno, - disse Lucia alle donne; e scese in fretta. Al veder la faccia mutata, e il portamento inquieto di Renzo, - cosa c'è? - disse, non senza un presentimento di terrore.
- Lucia! - rispose Renzo, - per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie.
- Che? - disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontò brevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con angoscia: e quando udì il nome di don Rodrigo, - ah! - esclamò, arrossendo e tremando, - fino a questo segno!
- Dunque voi sapevate...? - disse Renzo.
- Pur troppo! - rispose Lucia; - ma a questo segno!
- Che cosa sapevate?
- Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere. Corro a chiamar mia madre, e a licenziar le donne: bisogna che siam soli.
Mentre ella partiva, Renzo susurrò: - non m'avete mai detto niente.
- Ah, Renzo! - rispose Lucia, rivolgendosi un momento, senza fermarsi. Renzo intese benissimo che il suo nome pronunziato in quel momento, con quel tono, da Lucia, voleva dire: potete voi dubitare ch'io abbia taciuto se non per motivi giusti e puri?
Intanto la buona Agnese (così si chiamava la madre di Lucia), messa in sospetto e in curiosità dalla parolina all'orecchio, e dallo sparir della figlia, era discesa a veder cosa c'era di nuovo. La figlia la lasciò con Renzo, tornò alle donne radunate, e, accomodando l'aspetto e la voce, come pote meglio, disse: - il signor curato è ammalato; e oggi non si fa nulla -. Ciò detto, le salutò tutte in fretta, e scese di nuovo.
Le donne sfilarono, e si sparsero a raccontar l'accaduto. Due o tre andaron fin all'uscio del curato, per verificar se era ammalato davvero.
- Un febbrone, - rispose Perpetua dalla finestra; e la trista parola, riportata all'altre, troncò le congetture che già cominciavano a brulicar ne' loro cervelli, e ad annunziarsi tronche e misteriose ne' loro discorsi.
ai pavidi anonimi non replico neppure
Uff. St. On. Sc. A.V.
io odio una piciarla!
la vorrei vedere morta.....e un giorno morirà!!!! come la sua chitarra acustica
e chi è costei che odia una piciarla.......??? scheletri nell'armadio?? inciuci passati ?
io so ma nn parlo
anche io so....
ho anche una videocassetta come prova..
attendo offerte !
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zozzona!!
lui è già mio!!
ti prendo a schiaffi se ti incontro.
voi due oche plebee litigate puve pev quel pidocchio insulso, che io mi tengo tutto pev me il divino vak con il suo strumento...
E per me.....c'è ancora qualche piciarlina libera???
tra 40 e 75 chili il mai grasso e il lider maximo fullg si danno disponibili a piciarlare qualunque femmina, madri, sorelle, povere ma belle, suore puttane, bellissime e befane
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trema, branzil, trema
sposami, ti farò ricco e pieno di prole e uffici sparsi per l'italia
al terzo cpitolo del manzoni questa pagina del blog verrà cancellata, e il suo contenuto, anzichè finire nella leggenda, finirà nel rudo di un tristissimo e verde SULO virtuale
Vorrei sfidare l' avvocato Vacchini a cazzo di ferro
io pure
io pure
allora ci sto anche io
e io chi sono! voglio contendere anche io!
Ehi tu fratello vacchini dimmi, cosa farai, cosa farai quando la furia di tutti questi hulkmaniacs si scatenerà contro di te ?
hey tu vacchini palle mosce, ti aspetto domani a mezzogiorno. portati la tua colt, anche se non farai in tempo ad usarla
Hey tu vacchetto babbo di minchia, ti sfido a trivial pursuit
Hey emulo biondiccio e sbarbato del sottoscritto, ti sfido ad una gara di calci rotanti
Vacchini...ahhhh!!! Ti sfido ad una gara di t'bravoberluscona...ahhh!!
uè vacchini, miezzepalle e femminiello, ti sfido al gioco delle tre carte
Ti sfido ad una gara a chi si infila il dildo più grosso nel culo
Bel biondo, vieni mo a bologna che ti sfido al tarochino
Lo sapevo...i tortonesi sono tutti così: decidi l' ora ed il luogo per un bel duello e te li ritrovi che corrono verso il confine...
il Nostro pregiato bassista un tempo noto come vak, e da iersera chiamato IL CLONE,
CONSIDERATO
che ci sono a quanto pare tanti cazzoni pronti a sfidare la morte così stupidamente
PRESO ATTO
che l'arme scelte dai suddetti non si addicono alla classe ed alla dignità che da annai ormai contraddistinguono il sublime bassista
VISTO
che comunque una sfida quando è lanciata, è lanciata
P.Q.M.
IL CLONE,
accettate tutte le sfide e ritenuto necessario scegliere definitivamente i mezzi della contesa
COSI' DECIDE:
- arme per la tenzone: sfida di slap su basso con cazzo, con tre categorie: barzotto - duro - molle - gamberetto. Vincerà chi riuscirà a riprodurre perfettamente in tutte le categorie, un assolo di jaco pastorius sul suddetto strumento senza ovviamente usare le mani;
- il perduello si terrà, per tutti, la prossima sessione di prove delle VERE PICIARLE ( che probabilmente sarà anche l'ultima del CLONE, che seguirà le orme del gionfusciante - ma questa è un'altra storia - , con data da comunicarsi a temp debito in codesta sede.
VINCA iL MIGLIORE!
paura, eh????
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